Tfr al Fondo Pensione

Il lavoratore dipendente ha diritto al termine del rapporto di lavoro all’erogazione del Trattamento di Fine Rapporto meglio conosciuto come “Tfr”.

Il Tfr è una forma di retribuzione differita, ovvero una retribuzione che matura durante il rapporto di lavoro ma la cui erogazione, avviene solo in occasione della cessazione dello stesso. Il legislatore ha previsto poi eventuali possibilità per il lavoratore di chiedere degli acconti o anticipi solo qualora si verifichino determinate condizioni come ad esempio: acquisto o ristrutturazione prima casa, spese sanitarie ecc. Fino a giugno 2018 invece esisteva la possibilità per il lavoratore di beneficiare del Trattamento di Fine rapporto lavoro direttamente in busta paga in rate mensili c.d. “Quir”.

Il Trattamento di fine rapporto tuttavia oltre ad essere accantonato dal datore di lavoro mese per mese e poi erogato all’atto di cessazione del rapporto di lavoro stesso, può anche a scelta del lavoratore essere destinato ad un Fondo pensione o di previdenza complementare, così facendo il lavoratore all’atto di accesso alla pensione beneficerà di una pensione integrativa a quella pubblica (il c.d. Secondo Pilastro) che ha lo scopo di garantire al lavoratore un livello di vita, una volta in pensione, almeno pari a quello che conduceva quando lavorava.

Passando al costo del lavoro per quel che ci interessa, la scelta di aderire o meno da parte del lavoratore a un Fondo pensione è libera tuttavia, molti datori di lavoro “caldeggiano” il lavoratore a destinare il proprio Tfr a un Fondo pensione, facendo leva nel mostrare i vantaggi fiscali che il lavoratore ha nel destinare il proprio Tfr ad un Fondo pensione. I motivi che l’impresa ha nel “consigliare” il dipendente di versare il proprio Tfr ad un Fondo pensione sono essenzialmente due.

Il primo con l’adesione del lavoratore, l’azienda senza “grande fatica” destina mese per mese il Tfr del lavoratore ad un fondo pensione e quindi accumulando pian piano i soldi del Tfr non avrà problemi alla fine del rapporto di lavoro ad erogare il Tfr ai dipendenti. Questo vale sopratutto per le aziende che hanno in organico dipendenti da diversi anni, sicuramente a fine rapporto quest’ultimi avranno accumulato un buon importo di Tfr e pertanto l’azienda si troverà ad erogare ingenti somme ai lavoratori. Tuttavia, se questo viene destinato mese per mese ad un fondo pensione l’azienda avrà un problema in meno in futuro, in quanto il Tfr è già pronto e non dovrà ricorrere a faticosi esborsi economici.

Il secondo motivo è che con la destinazione del Tfr ad un fondo pensione di previdenza complementare l’azienda si troverà a risparmiare il 0,48 % di contributi Inps mensili del lavoratore dipendente Questo perché, quando il datore di lavoro paga i contributi all’Inps, paga anche il Fondo di garanzia del Tfr Inps, istituto che interviene nel caso in cui il datore di lavoro sia insolvente nel pagare il Tfr al lavoratore. Visto che il Tfr viene destinato ad un fondo pensione o di previdenza complementare, la ragione di pagare il contributo al Fondo di garanzia Tfr dell’Inps viene meno e pertanto il datore di lavoro si troverà a beneficiare di questo risparmio contributivo.

Il risparmio contributivo sicuramente non è elevato, ma se magari l’azienda dispone di tanti dipendenti questo risparmio costituisce sicuramente una voce da tenere in considerazione ma soprattutto, quello che si deve capire è che il risparmio del costo del lavoro non si raggiunge con un unico strumento ma con la sommatoria di una serie di interventi messi in campo dal Consulente del lavoro che hanno il compito di ridurre o abbattere drasticamente il costo del lavoro per liberare nell’impresa e sul mercato quelle risorse che sembravano bloccate e certamente, in un piano complessivo di riduzione del costo del lavoro, destinare il Tfr a Fondi pensione rappresenta un tassello utile al complessivo progetto di riduzione del costo del lavoro.

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Dr. Francesco De Santo

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Smart Working: nuove e migliori forme di lavoro e riduzione dei costi d’impresa

smart-working1Lo Smart Working nella sua versione italiana di “lavoro agileè una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro.

L’innovazione dettata dalla tecnologia ha inciso profondamente non solo nei nostri stili di vita ma anche nei rapporti lavorativi, dove possiamo scorgere un’alterazione del classico paradigma del lavoratore dipendente subordinato verso forme lavorative più ibride, flessibili ma che non sfociano nel parasubordinato (contratti di collaborazione coordinata e continuativa; ex contratti a progetto).

Stiamo parlando di smart working la cui configurazione può portare ad una sensibile riduzione dei costi per l’impresa – non solo in termini di costo del lavoro – ed una concreta conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per il dipendente.

Lo smart working non è dunque una nuova tipologia contrattuale ma è un modo diverso di eseguire la prestazione lavorativa, questa infatti può essere svolta in parte in azienda e in parte presso il domicilio del lavoratore.

Nell’attesa che il disegno di legge n. 2233 disciplinante il lavoro agile (smart working) venga approvato dal Parlamento è possibile porre in essere contratti individuali stipulati tra impresa e lavoratori volti a prevedere forme di lavoro agile.

Si può ricorrere a lavoro agile quindi, anche semplicemente con la stipula di accordi individuali tra impresa e lavoratori tendenti alla destrutturazione temporanea o definitiva della prestazione.

L’accordo individuale (che a mio avviso è consigliabile certificarlo presso idonee sedi di certificazione dei contratti di lavoro) deve contenere una clausola in cui si conviene che l’esecuzione della prestazione lavorativa si svolga in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, stabilendo con sufficiente precisione i giorni specifici della settimana in cui il lavoratore sarà presente all’interno dell’azienda.

L’accordo deve prevedere inoltre un rientro in sede definitivo per specifiche esigenze aziendali, le aree geografiche di riferimento della prestazione, la modalità di tenuta dei documenti di servizio, gli obblighi di reperibilità telefonica, i mezzi di lavoro a disposizione ed i casi di rientro immediato in sede per malfunzionamento o aggiornamento sistemi. L’accordo può prevedere anche una scadenza predefinita e individuare le condizioni risolutive specifiche.

Secondo un’indagine condotta dall’osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro nel 2015 su 17 milioni di lavoratori dipendenti in Italia ben 171 mila hanno lavorato da casa almeno un giorno, cifra destinata a crescere,

Tante sono le imprese che attualmente hanno introdotto forme di smart working tra di esse spicca la Vodafone Italia dove già dal 2014 oltre 3000 dipendenti, che non hanno contatto diretto con il cliente, possono lavorare da casa per due giorni al mese, compresi tra il martedì e il giovedì.
Così Elisabetta Caldera, Direttore Risorse Umane e Organizzazione, commenta l’iniziativa «Per noi significa innanzitutto essere i primi a usare i prodotti e i servizi che offriamo ai nostri clienti. E poi si incoraggia una cultura del lavoro più orientata al risultato e meno alla presenza fisica. Così aumenta la produttività e la focalizzazione sui risultati, migliorando anche la qualità della vita e la motivazione dei propri dipendenti. Un circolo virtuoso di cui beneficiano l’organizzazione, le persone e anche l’ambiente».

Lo Smart working/lavoro agile rappresenta dunque la nuova frontiera del diritto del lavoro e porta con sè non solo un nuovo modo di svolgere la prestazione lavorativa ma anche una serie di risparmi economici per le imprese, soprattutto per le imprese di servizi e del terziario avanzato anche di piccole dimensioni.

Quali sono i costi che si possono risparmiare? Certamente quelli legati alle strutture fisse dove il dipendente svolge la prestazione come ad esempio energia elettrica, costi legati all’uso e consumo di attrezzature aziendali, di strumenti informatici, di materiale di consumo. Sulla parte retributiva/contributiva vengono meno i costi legati alle trasferte, eventuali benefit come auto aziendali, buoni pasto in quanto si presume che il dipendente svolga la sua attività presso la sua abitazione.

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Dott. Francesco De Santo

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